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Una mia collega, che è stata anche una mia amica e con cui condividevo alcuni interessi, mi ha chiesto, una volta, quale era il motivo per cui scrivevo. A dire il vero, prima di allora, non me ne ero mai posta il problema. Eppure è di fondamentale importanza.
Tu, che scrivi, lo fai per te stesso solamente?
Ecco, direi che questa è la classica domanda amletica di ogni scrittore - od aspirante tale. Ovviamente noi iniziamo a scrivere solo per noi stessi, per l'orgoglio che proviamo a vedere delle pagine sporche d'inchiostro con tante di quelle righe che per noi vogliono dire qualcosa. Successivamente le leggiamo e ci diciamo: Non male! Quasi, quasi le pubblico! e quindi scatta la seconda fase, quella in cui siamo convinti di voler essere letti.
E da lì ha inizio il lungo labirinto, che non sempre ci porta da qualche parte.
Ma siamo davvero certi che quello che desideriamo davvero sia una critica spassionata? Essere letti vuol dire anche andare incontro al giudizio dei lettori e non sempre siamo pronti a conoscere quel giudizio. Se qualcuno di voi ha mai provato ad inviare un suo manoscritto a qualche editore od qualche critico, ricevendone in cambio una lettera con poche e laconiche righe, in fondo in fondo non si è forse sentito convinto che il suo libro non è stato capito fino in fondo o, magari, nemmeno davvero letto? Soprattutto se il lavoro è stato accurato, accompagnato da una lunga ricerca per dare un tocco di veridicità alla trama ed il tutto poi è stato corretto e ricorretto fin nei minimi particolari, non siamo forse troppo coinvolti per capire fino in fondo che esiste la possibilità di una critica negativa? E vogliamo davvero sentirla? No, certamente non vogliamo. Anche se diciamo a gran voce che non è vero, che siamo pronti a qualsiasi commento, noi reputiamo il nostro lavoro ben fatto e ne siamo orgogliosi. Ascoltiamo gli altri ma in cuor nostro conosciamo la verità. La nostra verità, che è quella derivante dal fatto che scriviamo per noi stessi.
Quindi il passo successivo, per superare questo scoglio, è divenire gli editori di noi stessi. Il vero ostacolo di fondo non è ciò che scrivi o quanto possa valere – perché è ciò che hai nel cuore - o nella penna! – ma quella sagoma scura a cui lo indirizzi. Egli è il Lettore e non si dovrebbe mai perderlo di vista!
Le idee o lo stile sono sempre elementi che si possono migliorare, basta lavorarci con costanza. Ma è il Lettore il fine ultimo del Libro. All’inizio c’è l’Autore. Nel mezzo il Come. E dunque, un buon Libro è il connubio perfetto tra chi scrive il messaggio e colui che ne è il destinatario!
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