“Caro Direttore,
sono Fatima, la mamma di Andrea Bonanno, il bambino di 7 anni che nell’ottobre del 2005 ha perso la vita nell’Ospedale civile Annunziata di Cosenza per un’ingessatura troppo stretta applicatagli al braccio… ”
Inizia così questa lettera che denuncia una morte ingiusta, irreale, perché ha falciato via un bimbo che s’era rotto un braccio. Un braccio ingessato troppo stretto e una famiglia che ha assistito ai dolori, definiti dai medici “capricci”, di un bambino la cui mano diveniva sempre più blu, sempre più inerme, sempre più dolorante. Finalmente, dopo sei giorni, il gesso è stato tolto, il braccio ormai era necrotico e l’infezione causata dal gesso ormai estesa a tutti gli organi: il bambino è andato in coma e poi è morto.
La giustizia ha riconosciuto i colpevoli, negligenti ma anche colpevoli di aver falsificato cartelle ed alterato i documenti. La giustizia, la magistratura, ha fatto il suo lavoro bene, ha riconosciuto la dignità di un bimbo e della sua famiglia contro un sistema che non ha saputo, non solo aiutarlo, ma salvarlo da essa. Eppure questi medici lavorano ancora. Nello stesso reparto.
Il giudice nella motivazione della sentenza, afferma: «Si è detto che Andrea Bonanno è stato vittima della trascuratezza, quando invece in quei pochi giorni di ricovero è stato visitato, curato, seguito da decine tra medici ed infermieri delle più diverse branche, fatto oggetto delle più svariate consulenze, sottoposto a una serie innumerevoli di trattamenti ed accertamenti; eppure la struttura che avrebbe dovuto garantirgli la guarigione da una banale frattura lo ha ucciso. Il piccolo Andrea è stato prima di tutto vittima di un sistema che concepisce il malato come una sorta di fantoccio inanimato, un contenitore di organi e di ossa trasportato da un reparto all’altro perché, nelle migliori delle eventualità, questi e quelle vegano "prese in carico" dagli specialisti di settore, o perché nella peggiore, chi si sia trovato a "gestire" il "paziente critico" sia messo un domani in condizione di poter dire (e, soprattutto, poter documentare) che nessun sintomo è stato trascurato, nessun esame è stato omesso, nessuna consulenza non è stata invocata; poi c’è un bambino che si lamenta per un gesso troppo stretto, ne porta i sintomi che anche un profano sarebbe in grado di decifrare... ma "il sistema" ha ormai reso tutti ciechi e sordi».
E’ quanto di più vero e terribile possa accadere ad una persona che si affida o che affida i propri cari a dei medici. Perché ancora si continua a parlare di struttura ospedaliera o sanitaria, il che elimina ogni personalizzazione medica. L’indossatore del camice non è più un uomo che lavora lì per cercare di guarire un malato, ma è solo una rotellina dell’ingranaggio. E così anche il paziente diviene quel contenitore di organi e sangue che non possiede alcun diritto che non quello di stare buono buonino.
Eppure i migliori medici sono quelli che curano la persona, non il malato, e tanto si può fare in medicina, se si ha la pazienza e l’umiltà di ascoltare.
Un bacio ad Andrea, ovunque sia ora.
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Che storia triste da leggere. e vera nel suo completo complesso.
Un abbraccio anche mio.
@Le Favà: piccole morti dimenticate e schiacciate dai meccanismi di spersonalizzazione umana. Troppo spesso si dimentica che un paziente è un essere umano con sentimenti e non solo poche cifre su una cartella clinica. Ciao.